BORDER _NO_BORDER – Pier Paolo Koss

Solo Exhibition

5 MAGGIO – 5 GIUGNO 2022

Le analogie, tanto nel campo della storia quanto in quello della storia dell’arte e della cultura visuale, sono armi a doppio taglio: da un lato permettono di individuare nessi e annodare fili, dall’altro si rivelano quasi sempre sdrucciolevoli scorciatoie che conducono per lo più fuori strada.  
Da mesi ormai l’analogia Hitler/Putin ricorre nella comunicazione mediatica e nel discorso comune, con la generalizzata tendenza a individuare nella ‘follia’ di entrambi il fattore scatenante delle ben note tragedie. Così facendo si accantona la necessità – e si scansa la fatica – di fornirsi delle competenze necessarie su cui fondare le opinioni che si esprimono. E se si può ottimisticamente ritenere che nell’Europa occidentale le condizioni che hanno fatto da sostrato alla presa del potere da parte di Hitler siano note ai più, tale ottimismo sarebbe del tutto ingiustificato se applicato alla Russia di Putin. 
Con la premessa – necessaria e doverosa nel momento storico che stiamo vivendo – che Putin è un presidente autoritario, cinico, spietato.  
PierPaolo Koss, invece, conosce assi bene quella realtà: dal primo ingresso nel paese, nel 1989, vi è tornato più volte, non da semplice viaggiatore, ma da artista, invitato da alcuni tra i più importanti teatri, musei, gallerie. E, sempre da artista, ha conosciuto personaggi eterogenei, dei quali ha osservato abitudini e comportamenti, ha raccolto fotografie, collezionato cartoline e oggetti di varia natura. Il ricco bagaglio di informazioni e impressioni ottenuto gli ha permesso, con l’integrazione di anni di studi e letture, di costruire un racconto ‘in soggettiva’ tramite il recupero di frammenti di una realtà ‘oggettiva’.
Una realtà, nondimeno, troppo complessa per non risultare sfuggente a chi non possegga adeguate chiavi di lettura storiche, socioeconomiche, geopolitiche, culturali. Il racconto di Koss non può certo fornire tali chiavi, ma può insinuarsi tra le idee preconcette, gli stereotipi, i luoghi comuni, le conoscenze ostentate ma fittizie. 
Potrebbe, dunque, essere proprio questa la prima frontiera che la mostra Borders_No_Borders, allestita da Koss presso la galleria Guidi&Schoen di Genova si propone di fare attraversare: quella tra i territori del ‘sentito dire’ e le zone in cui può prendere avvio un percorso di conoscenza fondata e critica. 
È importante evidenziare che questa mostra è stata concepita e programmata molto tempo prima dell’invasione dell’Ucraina e, dunque, è concettualmente scissa dalla drammatica realtà odierna. 
Sono, in primis, le immagini trovate – molte di esse appartenenti alle categorie della Found Photography e del Found Footage, variamente impaginate o accostate dall’artista per creare quasi dei ready-made rettificati – a fornire a Koss un peculiare strumento per aprire un primo varco in questa frontiera. La maggior parte di esse ritrae uomini, donne, folle che lasciano trapelare le loro storie personali e, contestualmente, tasselli di storia del paese. 
É ciò che accade nella serie Cartoline da Mosca (2002-2012), che Koss definisce “propaganda pura in immagini”: giovani soldati svolgono impassibili il loro compito di guardia davanti al Monumento ai Caduti, mentre un generale, con un’ambiguità che Koss evidenzia accostando le ‘cartoline’, asciuga ad alcuni di loro il sudore con un gesto che sembra una carezza non richiesta; la Armija Putina, ossia l’‘Armata di Putin’, impegnata nelle prove generali di future parate, si suddivide in tre settori per colorare con i colori della bandiera russa la Piazza Rossa, ma Koss divide l’immagine in modo da formare un dittico, separando le bandiere rosse da quelle bianche e da quelle blu e portando così, idealmente, le prime a sventolare nuovamente davanti al Cremlino.  
Altre Cartoline restituiscono frammenti di quello che Leonardo Coen in Putingrad (2008) definisce “il popolo di sopra” e “il popolo di sotto”, divisi da una delle barriere più impenetrabili, ossia quella di classe: la macellaia del mercato sociale che vende grossolani pezzi di animali non disossati in un sincretismo tra tradizione russa e caucasica; i magnati celati nella limousine che sfila davanti al Museo statale di Storia; la veterana di guerra Olga che sfida i divieti per portare i fiori al Mausoleo di Lenin, l’élite già raccolta all’interno del Palazzo del Cinema interamente ricoperto di seta rossa in occasione di un festival esclusivo.  
È interessante notare come nella serie delle Cartoline Koss alterni immagini in cui i soggetti umani sono presenze fisiche e ‘narranti’ ad altre in cui essi perdono la loro corporeità, ingoiati dagli status symbol (la limousine) e dalle prestigiose location (il Palazzo del Cinema) ai quali demandano il compito di raccontarli. 
Anche il video della performance Vojna (2005), eseguita da Koss alla New Tretyakov Gallery di Mosca (senza autorizzazione da parte del direttore) intende far percepire la presenza nello spazio espositivo dei rappresentanti dell’élite e della nuova nomenklatura senza dar loro alcuna fisicità, dematerializzandoli nei ruoli sociali e politici attraverso i quali esercitano il loro potere di includere o di escludere, di legittimare o di censurare. E la censura ha effettivamente ‘sfiorato’ la performance, accolta dal pubblico con disagio, disgusto e addirittura rabbia di fronte ai corpi dell’artista e di cinque ragazzi russi di colore che si muovevano armonicamente, in una azione a tratti lenta e sensuale, a tratti energica e tribale. In una Russia sovranista e nazionalista, dove movimenti di estrema destra sono ormai radicati, razzismo, xenofobia e omofobia segregano segmenti della popolazione innalzando barriere politiche e sociali che culminano nella violazione di basilari diritti civili: se ai cittadini russi di colore è negato il possesso di passaporti e di altri documenti fondamentali, gli omosessuali, i transessuali e gli attivisti del movimento LGBTQ+ sono non di rado vittime di arresti ingiustificati, detenzioni senza assistenza legale, torture, aggressioni anche mortali.
Altri corpi, invece, incarnano il progetto totalitario e imperialista della Russia di Putin: più che corpi sono ‘segmenti’ che compongono le geometrie tipiche delle parate militari in grande stile. Nel video Parade (2012) Koss rielabora attraverso il montaggio, l’accelerazione, la musica martellante (prodotta da un gruppo musicale ultranazionalista), le immagini trasmesse dal primo canale della televisione russa e da quello patriottico-militare “Zvezda” di quella che ha trionfalmente attraversato Mosca nella primavera 2012 per celebrare la terza elezione di Putin a Presidente della Federazione Russa. 
Disposti in linee rette parallele, i ‘corpi-segmenti’ appartengono a militari di vari ranghi, tutti ugualmente privati delle loro identità: marciano all’unisono lungo traiettorie predeterminate disegnando perfetti quadrati o rettangoli, compiono gesti meccanici e muovono le teste creando diagonali che dinamizzano dall’interno le composizioni che loro stessi creano con il loro robotico movimento. 
La mente corre a Il trionfo della volontà, il documentario di propaganda nazista che Leni Riefenstahl dirige nel 1934. Si può avanzare l’ipotesi che proprio in questo parallelismo risieda una delle possibili chiavi di lettura di questa mostra così complessa e stratificata: tornando al punto di partenza, l’‘analogia’ che indubbiamente esiste tra questi lavori non si declina sui loro rispettivi contesti e fatti storici, ma sui loro codici retorici e visivi, che sono quelli comuni a tutti i regimi totalitari. 
Altre opere in mostra si concentrano su elementi che parrebbero confermare questa lettura: le esercitazioni militari, l’espansionismo verso territori ricchi di materie prime e lo sfruttamento della manodopera (Glasnost, 1990); la convergenza del potere politico e di quello religioso sancita dalla ferrea alleanza tra Putin e il patriarca Kirill (Propaganda ortodossa, 2012, Ras-Putin, 2012); il gigantismo dell’architettura e la magniloquenza dell’apparato scultoreo del memoriale che celebra la battaglia di Stalingrado (Blood Memory, 2005); i grattacieli e le architetture, a firma delle più ricercate archistar, volute da Putin per fare di Moscow City, cuore economico della capitale, il simbolo della nuova politica imperialista della nazione (Putingrad, 2012); la paventata trasformazione in un edifico pop/kitsch dell’avanguardistico Mausoleo di Lenin, opera dell’architetto Aleksej Viktorovič Ščusev, inizialmente fautore delle idee del costruttivismo e, in seguito, maggiore esponente di quel monumentalismo che è stato lo stile identitario dell’U.R.S.S. e che oggi, proprio per la sua ridondanza stilistica e la preziosità dei materiali, torna a essere esaltato dai magnati sempre alla ricerca di siti esclusivi in cui aprire i loro club (Mausolei, 2012). 
E, in particolare, sembrano andare in questa direzione le opere che più direttamente affrontano il tema delle frontiere e dei confini dal quale la mostra prende il titolo: Putinland (2012) con una mappa della Russia composta da marsine di generali dell’esercito che indica nel potere militare la forza con cui la Russia intende mantenere o espandere i suoi confini, siano essi quelli nazionali o quelli delle sue regioni interne; Boots on the Border (1992), con due scarponi militari sovietici puntati su una lastra di ottone dorato, che ricorda il crollo dei ‘muri’ eretti dall’U.R.S.S. e le connesse aspettative; Burning Borders (2004), video della performance in cui Koss, seminudo e con la balaclava nera a coprirgli il volto, cammina a piedi nudi e poi si sdraia, muovendosi continuamente, su una striscia di vetri. 
Se si segue questa linea interpretativa la mostra di Koss da Guidi&Schoen si configura come una prismatica installazione che riflette sulla Russia, sulla sua storia, sulle sue contraddizioni ed amnesie non per recuperare, in questo drammatico frangente storico, elementi che possano contribuire a far comprendere le ragioni della guerra in Ucraina, ma, al contrario, per costruire una potente metafora del potere e delle tragiche conseguenze di tutti i totalitarismi. 

Paola Valenti